TATIYAK - articoli

Kayak da mare o kayak in mare?
testo di Mauro Ferro - immagini a cura della redazione di Pagaiando
tratto da Pagaiando n. 1 - febbraio 2003 e n. 2 - maggio 2003


Antefatto. Se chiedessi ad uno sciatore specializzato nel salto perché in quella disciplina si utilizzi quel particolare tipo di sci, invece di quello che usa un altro sciatore, ma specializzato nel fondo, nella migliore delle ipotesi si metterebbe a ridere e non mi risponderebbe neppure. Analogamente succederebbe se chiedessi ad un ciclista velocista perché invece della bicicletta specifica non ne utilizzi una da cross.
Gli esempi potrebbero andare avanti quasi all’infinito perché, anche se gli sport capostipiti, quelli, passatemi i termini, “puri” e “primordiali”, sono relativamente pochi, nel tempo, tutti si sono evoluti in moltissime varianti che hanno portato allo sviluppo di altrettante specialità che spesso poco hanno in comune l’una con l’altra.
Ognuna di queste specialità, per poter essere praticata con soddisfazione e, naturalmente, con prestazioni sempre maggiori, necessita di strumenti, di mezzi e di attrezzature adeguate. Queste attrezzature sono state anch’esse sviluppate nel tempo, con il contributo e la ricerca delle aziende costruttrici, di sportivi professionisti ed anche di semplici praticanti. Ogni nuova versione si differenziava leggermente da quella precedente, ma aveva in se qualche cosa di particolare che la rendeva unica ed irrinunciabile per chi voleva continuare la sua evoluzione di sportivo.
Se, a distanza di diversi anni, confrontiamo il particolare modello di quell’attrezzo, accessorio o strumento su cui s’impernia una certa specialità, che naturalmente era all’avanguardia nel periodo iniziale considerato, con quello invece ora usato, credo ci stupiremo dalle differenze riscontrate. Spesso l’evoluzione e la diversificazione sono state tali da rendere quasi incomprensibile come si poteva praticare quella particolare specialità con quel “coso”.

Un po’ di storia. Nessuno sport, o meglio, nessuna pratica sportiva, è rimasta immune da quest’evoluzione, neanche il kayak. Anch’esso, partendo da quell’unico esemplare portato in Inghilterra, verso la metà del secolo scorso, da Gino Watkins, un esploratore che è vissuto diverso tempo in Groenlandia con i popoli Inuit dai quali apprese l’uso del kayak, si è moltiplicato in moltissimi modelli e varianti, ognuno dei quali pensato, progettato e costruito per offrire le migliori prestazioni in un ben specifico campo d’impiego.
E’ importante notare che, in Europa, anche la tecnica dell’eschimo ha avuto origine da quel primo esemplare; infatti, con il primo kayak, Watkins portò con se anche alcune manovre della vastissima tecnica groenlandese che imparò sul luogo di origine e che si sono poi diffuse ed adattate ai vari tipi di barche.
Vorrei porre l’accento anche sulla particolarità del kayak: qualsiasi linea, modello o caratteristica gli uomini gli abbiano dato per adattarlo ad impieghi specifici, il kayak era ed è l’unica barca esistente che, una volta capovolta, si può raddrizzare senza dover sbarcare o uscire da essa. Possiamo anche facilmente immaginare quale fu il motivo che spinse gli Inuit in un accanimento progettuale esasperato delle barche e nello sviluppo di decine di tecniche di raddrizzamento della barca stessa: non potevano neppure pensare di uscire dal kayak con la temperatura dell’acqua sempre a pochi gradi, sarebbero morti assiderati per ipotermia in pochi minuti; chi si ribaltava e non riusciva a raddrizzarsi… non tornava più a casa.
Il progenitore di tutti i moderni kayak, era quindi l’imbarcazione tipica dei popoli Inuit, comunemente e volgarmente chiamati eschimesi (un termine che loro reputano molto offensivo, pensiamo per un attimo alle definizioni con cui i nostri meridionali e settentrionali si appellavano a vicenda, in era pre-extracomunitari, e capiremo il riferimento), i quali la utilizzavano per spostarsi, per la caccia e per la pesca. Quella barca era nata ed utilizzata in ambiente marino e da essa discendono direttamente tutti i moderni kayak da mare, sia pur con le utili aggiunte dei gavoni stagni, bussole, derive, timoni ed accessori vari.
Da quel primo modello sono state fatte delle copie e provate in altri ambienti, prima i laghi, poi i grossi fiumi, poi i torrenti ed ogni volta si scopriva che, con le opportune modifiche, quell’esile barca si adattava ben presto alle nuove esigenze e che aveva delle incredibili ed impensabili potenzialità.
Questa continua evoluzione portò ben presto alla suddivisione dei risultati ottenuti in due grandi famiglie, le quali si caratterizzavano nettamente per gli ambienti nei quali le imbarcazioni erano utilizzate: l’ambiente dove l’acqua correva e quello dove invece non aveva corrente, grossomodo potremmo dire il fluviale ed il marino.
Le forme costruttive, anche se dimensionalmente differenti, restarono molto simili sino alla scoperta della vetroresina, con la quale i costruttori poterono veramente differenziare le forme e costruire barche specifiche per l’ambiente nel quale dovevano muoversi. Questo decretò definitivamente la scissione del kayak in marino e fluviale. La divisione diventò ulteriormente evidente con l’avvento dell’era della plastica ed in particolare del polietilene, materiale eccezionalmente resistente agli urti ed all’abrasione: il materiale ideale per la costruzione delle barche fluviali.
Vediamo ora alcune caratteristiche dei due tipi capostipiti di kayak.

Il kayak da mare, o più semplicemente marino. Il kayak marino, pur essendo oggi prodotto in moltissimi modelli e con svariate caratteristiche sia di prestazioni che di volumi, così da adattarsi meglio al tipo particolare d’impiego o di corporatura dell’occupante, è il tipo di kayak che più è rimasto fedele alle linee ed alla filosofia originale. L’unica vera variante è costituita dai materiali costruttivi che sono passati dal telaio di legno e copertura in pelle di foca spalmata di grasso, prima al telaio metallico ed alla tela impermeabile, poi alla vetroresina, al polietilene, al diolene ed infine alla fibra di carbonio.
Oggi il kayak marino non è più utilizzato per la caccia, ma unicamente per scopi ludici. Ciò nonostante, esso conserva in se l’originaria destinazione di barca da escursione e per lunghe percorrenze, mossa con l’unico ausilio delle braccia e di una pagaia.
Esso deve essere in grado di resistere alla forza del vento, mantenendo il più possibile la rotta: quindi avrà una linea di chiglia molto pronunciata. Dovrà resistere alle onde che normalmente s’incontrano in grossi specchi d’acqua esposti come il mare: quindi avrà gli slanci di prua e di poppa molto pronunciati e sufficientemente voluminosi. Dovrà essere veloce: quindi lungo e stretto, ma non così stretto da diventare troppo instabile. In più, proprio per la destinazione di barca da escursione e da crociera, deve poter stivare, e all’asciutto, tutto il materiale necessario per essere autosufficiente anche per più giorni: quindi deve avere dei gavoni stagni. I gavoni stagni assolvono anche un’altra funzione importantissima: rendono la barca virtualmente inaffondabile.
Il kayak marino dovrà anche avere alcuni accessori che permettono di cavarcela da situazioni impegnative anche se siamo da soli, ne cito solo alcuni: le linee di sicurezza, le cime che corrono lungo la coperta, per aggrapparsi facilmente e velocemente al kayak in caso di ribaltamento con fuoriuscita dal pozzetto od in manovre d’emergenza. La bussola, non dimentichiamo che con il kayak marino molto spesso si naviga in mare aperto o lontano dalla costa, quindi valutare l’azione del vento o di una corrente, oppure sapere quale direzione prendere se non si vede la destinazione, è molto importante. La pompa di sentina, per vuotare il kayak nel caso d’infiltrazioni o di rientri in eschimo (In mare non abbiamo una riva vicina dove sbarcare per vuotare l’acqua). La pagaia di riserva, può capitare di romperla o di perderla, e non è bello tornare a riva con le mani; ancora meno se c’è vento e onde. Queste sono alcune delle principali caratteristiche di un kayak da mare; volutamente tralascio le dotazioni di sicurezza personali che sono comuni ad entrambe le pratiche, che non devono mai mancare ed essere sempre indossate.

Il kayak fluviale (o da torrente) è quello che, rispetto all’antenato originario, ha avuto nel tempo l’evoluzione maggiore. D’altra parte è naturale, l’uso del kayak nei torrenti, o più generalmente dove l’acqua è in veloce movimento (Nel ben conosciuto gergo: acqua bianca), è stato un impiego nuovo, e questo ha portato a dover adattare la barca al luogo dove doveva essere utilizzata. In pratica, a riprogettare il kayak.
I modelli primordiali di kayak fluviale non erano altro che dei kayak marini in miniatura con le punte arrotondate e costruiti con gli stessi materiali e, purtroppo, spesso chi li utilizzava viveva delle esperienze da vero brivido: bastava un piccolo urto e la barca si distruggeva, con immaginabili conseguenze per l’occupante. Analogo destino hanno subito i “nostri temerari”, anche se con meno frequenza e con conseguenze meno tragiche, quando i kayak erano costruiti con il telaio in metallo e copertura in tela.
Fu però con la scoperta della vetroresina che il kayak fluviale decollò veramente ed iniziò la sua gran diffusione. La vetroresina resisteva egregiamente agli urti ed abbastanza bene alle abrasioni, perciò, a meno di botte veramente forti e dirette, gli scafi permettevano di compiere cose veramente valide… ma ancora non era arrivato al massimo.
Poi, venne l’era della plastica e, per fortuna, con i moderni materiali plastici, è stato possibile la costruzione di barche robuste ed affidabili, particolarità che finalmente hanno decretato la maturità costruttiva e di progetto delle barche fluviali. Finalmente non ci fu che l’imbarazzo della scelta per poter sfogare i propri desideri: se qualcosa non si trovava, era solo perché nessuno aveva ancora pensato a costruirla.
Tutti i modelli di kayak fluviale, sia pur nelle differenze di linea e di volume che l’impiego in una particolare specialità o nell’altra impongono, hanno in comune alcune caratteristiche che ne caratterizzano l’impiego. Vediamone alcune. Il kayak fluviale deve essere insensibile alla spinta della corrente: quindi avrà il fondo piatto e senza spigoli. Deve poter “perforare” con facilità i riccioli statici: quindi avrà gli slanci di prua e poppa appena accennati e poco voluminosi, spesso piatti. Deve essere stabile e sopportare bene gli scossoni e le turbolenze che l’uso in rapida comporta: quindi sarà abbastanza largo ed arrotondato da ammortizzare facilmente improvvise variazioni di flusso che le asperità del fondo generano. Deve essere maneggevole: quindi sarà abbastanza corto da permetterci dei facili movimenti anche in spazi angusti.
Il kayak fluviale, al contrario del suo cugino marino, non dovrebbe avere in coperta nessuna sporgenza o cima che si possa impigliare in rami od ostacoli del percorso, specialmente quelli sotto il pelo dell’acqua nel caso di rovesciamenti in rapida. Spesso anche le utilissime maniglie di presa e di trasporto, costituiscono un possibile pericolo di impigliarsi e la tendenza attuale e di non farle più “penzolanti” ma rigide e leggermente arretrate rispetto alla prua ed alla poppa.
In comune con il kayak marino, il fluviale ha la necessità d’essere inaffondabile e di imbarcare la minor quantità d’acqua possibile in caso di rovesciamento e fuoriuscita dal pozzetto. Come abbiamo visto, nel kayak marino quest’importantissima funzione è svolta dai gavoni stagni; nel fluviale, invece, è ottenuta o con materiale espanso a cellule chiuse fissato internamente a prua ed a poppa, riempiendo tutto lo spazio che non serve al pagaiatore, oppure con dei palloncini sagomati (sacche) tenuti sempre ben gonfi d’aria. In caso di dover trasportare del materiale, per esempio attrezzatura da campeggio, la funzione di riempitivo e galleggiamento, può benissimo essere assolta dall’aria residua delle sacche stagne nelle quali stiviamo il materiale, mettendole al posto delle sacche di prua o poppa e fissandole bene. Le comuni norme di sicurezza, ma soprattutto il buon senso, dicono di non utilizzare mai un kayak privo delle sacche di galleggiamento: se si riempie d’acqua, e riusciamo ad uscirne, possiamo quasi certamente dire addio al nostro caro compagno!

Tiriamo le somme. Dopo questa lunga chiacchierata è evidente che le due tipologie di barche hanno in comune unicamente il nome, kayak; ed è altrettanto evidente che l’unica altra cosa che le accomuna, è che galleggiano sull’acqua. Le forme, le dimensioni, gli accessori e soprattutto l’ambiente acquatico per il quale sono state progettate e costruite, e nel quale danno il massimo delle loro prestazioni, le rendono differenti, specifiche, uniche e non intercambiabili.
Questo non vuol dire che non posso andare in un grosso fiume con un kayak da mare, certamente però non andrò mai in una rapida, dove finirei per schiantarmi sul primo sasso dove la corrente mi sospinge e che la scarsa manovrabilità della barca non mi consentirebbe di evitare.
Parallelamente non penserei neanche lontanamente di fare un’escursione di decine di chilometri in mare con un kayak fluviale, non perché non si possa fare o sia rischioso il farlo, ma solo perché non avrei a disposizione quegli accessori indispensabili alla navigazione: il kayak fluviale non li ha. Non lo farei anche perché potrei tenere una velocità di crociera ridottissima, proprio per la forma, dimensione e progetto della barca e quindi le tappe sarebbero cortissime. Non lo farei specialmente se dovessi aggregarmi ad un gruppo di barche marine, perché finirei per sudare sette camicie per stare al passo con gli altri, mentre i miei compagni sbufferebbero di noia perché l’andatura è da lumaca. Non lo farei perché in mare l’unica costante è il movimento dell’aria e, se va bene, è solo una leggera brezza, ma solitamente è vento, e dovrei continuamente correggere la rotta. Lo farei ancora meno se dovessi stare in giro per diversi giorni, perché non avrei abbastanza spazio da stivare tutto il materiale all’interno del kayak e dovrei metterne parte sul ponte, alzando il baricentro e rendendo così precario l’equilibrio, senza contare la maggiore presa al vento.
Non voglio con questo dire categoricamente che il mare sia solo per il kayak da mare: se volessi giocare nel surf e sulle onde, ci andrei con un kayak fluviale e sicuramente mi divertirei moltissimo. Tutto questo discorso serve per dire che, anche nel mondo del kayak, l’evoluzione ha portato allo sviluppo di barche specifiche che consentono di godere in sicurezza dell’ambiente nel quale intendiamo muoverci, perché non approfittarne? Perché sprecare energie per raggiungere la nostra meta spingendo qualcosa di non adatto, quando, una volta a destinazione, potremmo impiegare le energie risparmiate per arrampicarci su un promontorio e godere ulteriormente del luogo dove siamo sbarcati?
E’ vero, possiamo fare tutto quello che vogliamo, quindi siamo liberi di andare in mare con qualsiasi cosa che galleggi ed avventurarci in escursioni impegnative, e raccontarle poi agli amici una volta tornati a casa… Siamo anche liberi di andarci senza le attrezzature adeguate alla situazione ed all’ambiente, niente e nessuno lo impediscono. A volte lo facciamo anche senza le dotazioni minime di sicurezza, nessuno ci controlla.
Io dico che è ora di cambiare. E’ ora di usare nella nostra pratica sportiva una briciola di furbizia. E’ ora di utilizzare la barca più adatta alla cosa che intendiamo fare, ed è anche ora di capire che, fra l’altro, questo è il motivo stesso per il quale quella particolare barca esiste. E infine, è ora di ottenere da quello che facciamo quel pizzico di valore aggiunto per esserne ogni volta sempre più appagati e trarre da quest’appagamento un sempre nuovo stimolo per progredire...
 

 home
tatiyak@tatianacappucci.it - Tatiyak - viaggi in kayak a.s.d. - C.F. e P.I. 06558570963 - © 2009 MF