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Isole Ioniche - Cefalonia
12 - 18 agosto 2007
testo e immagini di Tatiana Cappucci
tratto da Pagaiando n. 6 - febbraio 2007

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“L’isola dimenticata di Cefalonia sorge del tutto inattesa dal mar Ionio; è così immersa nell’antichità, che le sue rocce esalano nostalgia, e la terra rossa è stordita non soltanto dal sole ma anche dal peso impossibile della memoria. Le navi di Ulisse erano state costruite con i pini di Cefalonia, le sue guardie del corpo erano giganti cefalleni e alcuni sostengono che la sua reggia si trovasse qui e non ad Itaca”.
L’irrequietezza dei miei compagni di viaggio mi distoglie dalla lettura del romanzo “Il mandolino del Capitano Corelli” proprio quando il traghetto attraversa il braccio di mare che separa Cefalonia da Itaca: il panorama che si apre davanti ai nostri occhi, per quanto familiare, lascia senza parole!

Il viaggio a lungo preparato ci porterà a costeggiare Cefalonia, Zante ed Itaca, 500 km in tre settimane di navigazione e di campeggio libero lungo le isole greche del mar Ionio, caldo ed immenso, aperto sull’orizzonte lontano ad ovest e chiuso da una miriade di isole vicine ad est, il Peloponneso dato alle fiamme che ci guarda da lontano, il fascino misterioso e continuamente rinnovato del viaggio in mare...
L’acqua è spettacolare, limpida e cristallina, calda ed invitante, uno specchio sui fondali anche più profondi, una tavolozza di colori che si riempie di tutte le gradazioni dal verde smeraldo al turchese al blu cobalto, una finestra aperta su un mondo affascinante… “attraverso l’acqua del mare di Cefalonia vedere è persino più facile che attraverso l’acqua di qualunque altro luogo; un uomo può galleggiare in superficie, avvistare il lontano fondo marino e scorgere chiaramente le lugubri razze che, per chissà quali ragioni, sono sempre accompagnate da minuscole sogliole”...
Le razze non le abbiamo viste, stavolta, ma due tartarughe Caretta Caretta hanno incrociato la rotta dei nostri kayak al tramonto e qualche intrepido pesce volante ha accompagnato le nostre traversate; è stato un viaggio ricco di incontri fortunati: molti rapaci hanno disegnato voli concentrici nel cielo azzurro e pulito, colorati martin-pescatore hanno volato veloci lungo la costa frastagliata che andavamo scoprendo e tantissime capre hanno accompagnato da riva il nostro silenzioso passaggio in mare!

Il primo giorno pagaiamo solo qualche centinaia di metri lungo la strada litoranea e subito incontriamo le imponenti ruote dei Katavòtres, antichi mulini ad acqua alimentati dal mare, un fenomeno ammantato di mistero fino agli anni sessanta, quando dei ricercatori, colorando l’acqua del mare, hanno scoperto che l’isola di Cefalonia la inghiotte ad Argostòli, la trattiene sotto terra per ben due giorni e poi la libera a Sami, attraverso un complicato reticolo ancora inesplorato di grotte e cunicoli che crea un tale dislivello da far girare le pale ormai arrugginite di questi mulini un tempo gloriosi… rimangono solo due ruote superstiti ai lati opposti dell’isola, una ad aspettare l’alba, l’altra a salutare il tramonto.
Proseguiamo il nostro viaggio verso nord e la prima sosta in una bella caletta ridossata ci permette di saggiare quanto ci attende nei giorni successivi: un vero e proprio trionfo della natura!
In ogni caletta scorgiamo, tra una casetta diroccata e qualche pianta di ulivo, un pugno di terra rossastra puntinata di ciottoli levigati dal mare e sbiancati dal sole, con cui i bagnanti si divertono a scrivere i loro nomi.
Il primo campo notturno scegliamo di montarlo in una delle tante baie riparate ed accoglienti, piccole ed isolate, pulite e silenziose: arbusti profumati per stendere l’attrezzatura, spiaggia livellata per montare le tende, vicini francesi in rada con la barca a vela che scendono a terra silenziosi e discreti per un romantico barbecue notturno, sotto il muro diroccato della casupola d’ordinanza, la luna piena ad augurarci la buona notte. Al mattino scegliamo di procedere decisi verso Fiskardo.
La guida descrive il paesino più settentrionale di Cefalonia come un piccolo borgo marinaro miracolosamente scampato al devastante terremoto del 1953, caratteristico per l’atmosfera che ancora si respira, per la suggestione delle casette basse sul lungo mare, per le viuzze contorte imprigionate tra muri colorati a tinte forti... ci concediamo una sosta, sorseggiando una birra fresca all’ombra profumata di una voluminosa buganvillea color fuxia!
Poco oltre il bel faro di Fiskardo, ci regaliamo un lungo bagno di sole nelle piscine naturali di Kalo Emblisi, una profonda cala contornata di larghi scogli piatti che scivolano in un’acqua cristallina, bianchi gradoni naturali che favoriscono lo sbarco dei kayak e silenziosi angoli ombreggiati che ci ospitano per il pranzo e per la siesta...

Passare Capo Viotis è divertente e a tratti impegnativo, le onde si rincorrono vicine e veloci, le creste spumeggianti coprono spesso il ponte del kayak ed il vento soffia più deciso, ovviamente in direzione contraria, rispettando pienamente le previsioni meteorologiche che lo davano in aumento da NW! Per evitare l’onda di ritorno e la famigerata “lavatrice”, scegliamo di allontanarci un po’ dalla costa, diventata alta e scoscesa, pareti color ocra e panna che si tuffano a picco nel mare ora profondo, nero e rigonfio di onde frangenti... dopo oltre due ore di fatica, di appoggi e di correzioni di rotta, pagaiando in silenzio per ascoltare il mare, scendiamo nella baia di Agia Jerousalim, protetta da uno scoglio allungato che quasi la nasconde alla vista, brutalmente deturpata da chiazze di catrame molle che subito si attaccano in maniera indelebile a kayak, calzari e costumi!
Ci addormentiamo tristi e sfiduciati, la natura non ha strumenti adeguati per difendersi dalle aggressioni dell’uomo, ma ci svegliamo rinfrancati dall’odore familiare del caffè appena fatto, una moka fumante offerta da un vicino in camper tanto ospitale quanto loquace: ci aveva salutati al nostro arrivo e che è quasi contrariato nel vederci preparare di nuovo i kayak “ripartite di già? non vi fermate a mangiare i ricci di mare? noi leccesi ne andiamo matti!”
Qualche pagaiata sulle onde ancora gonfie e ci troviamo ad Assos, una cartolina di paese, la doppia fila di casette colorate affacciate sulle due sponde dell’istmo, il porticciolo ricavato nell’ansa naturale che si apre ai piedi del promontorio, la cima ornata dalle mura del castello in rovina, terrazzamenti di ulivi abbandonati e colori decisi ovunque, in cielo in terra ed in mare... ci fermiamo per bere una birra, ovviamente!
A questo punto cominciamo a scoprire il vero fascino di Cefalonia, la sua natura incontaminata, selvaggia, irraggiungibile... la costa diventa alta, impervia e scoscesa, sulla cresta della montagna si intravedono in lontananza le pale eoliche, nella roccia si aprono fenditure e grotte, gli accessi alle spiagge si riducono e solo la famosa Mirtos è collegata all’entroterra da una strada tutta curve e tornanti interamente occupata da automobili in sosta... del resto, è giusto il 15 di agosto!
Pagaiamo al largo ed è tutto un tripudio di colori, non solo per gli ombrelloni dei bagnanti, ma anche per l’acqua azzurra un pò lattiginosa, per le scogliere nere spruzzate di bianco dal mare, per la terra rossastra bruciata dal sole, per la rada vegetazione di un verde intenso, per il cielo celeste, ampio e chiaro, senza traccia di una bava di vento o di una nuvola sfilacciata...

Il gran caldo ci costringe a fare un’altra sosta per bere un’altra birra…
Il porticciolo di Zola è tranquillo ed isolato, tipicamente cefalleno, riservato quasi solo ai locali, impegnati nel pranzo di ferragosto che si protrae sino al tardo pomeriggio, tavolate imbandite di pesce e calamari fritti, chiacchiere rilassate all’ombra del portico, vasi fioriti sui davanzali delle finestre incorniciate di blu, portate abbondanti innaffiate di ouzo ghiacciato, potente liquore greco a base di anice che ha lo straordinario potere di lenire ogni dolore!
Riprendiamo il mare ben oltre le 5 del pomeriggio, con l’intenzione di tagliare il golfo e di puntare diretti a Porto Atheras, dove la guida dice che potremmo scovare un “free camping” sulla spiaggia di sabbia, una taverna a conduzione familiare che apre orti e giardini ai campeggiatori di passaggio durante la bella stagione... ma Porto Atheras dovrà attendere, perché appena girato il capo ci si apre davanti agli occhi un panorama da lasciare letteralmente senza fiato!
Pagaiamo verso riva a bocca aperta, sempre più ammaliati dal fascino della costa, sedotti dalla bellezza del paesaggio e decisi a passare la notte su quella spiaggia laggiù, la “spiaggia 10 e lode”: una lunga distesa di ciottoli bianchi che hanno assorbito calore per tutto il giorno e sono ancora caldi, alle spalle una macchia mediterranea lussureggiante e profumata, odorosa di mirto, lentischio e terra umida, ai due lati alte scogliere triangolari di un bianco abbacinante che strapiombano verticali nel mare turchino, un tramonto che tinge tutto di rosso e diffonde un senso generale di felicità allegra e palpabile… non c’è nessuno, neanche una barca all’orizzonte, gli ultimi pescatori sono già rientrati, un gommone di bagnanti ritardatari si affretta a consegnarci la cala deserta, gabbiani e pesci han smesso di inseguirsi e sfuggirsi, grilli e cicale si godono con noi il cielo stellato e lentamente cala un silenzio quasi irreale... un posto meraviglioso!

La mattina dopo ripartiamo un po’ a malincuore, vorremmo fermarci ancora ed approfittare di questo luogo magico, ma il viaggio è ancora lungo e sospettiamo che l’isola ci riserverà altre piacevoli sorprese...
Infatti, entrati nella profonda baia di Porto Atheras e gustata l’ennesima birra davanti alla bella chiesetta intonacata di azzurro, ci rimettiamo in viaggio navigando verso sud e scopriamo subito un lungo tratto di costa incontaminato: saggiamo l’incredibile magia di uno spazio senza tempo!
Abbiamo pagaiato per circa 10 miglia lungo pareti rocciose mangiate dal terremoto, come se un ciclope affamato avesse inciso la costa con un enorme coltello, massi enormi rotolati nelle fenditure e rimasti in bilico l’uno sull’altro, rocce frantumate che hanno sommerso spiagge un tempo frequentate, frane sprofondate in mare che hanno colorato l’acqua in maniera curiosa e talvolta inquietante...
Quando sbarchiamo a Petani, invece, inquietante davvero è il frastuono della civiltà, musica martellante dei chioschi sulla spiaggia, motoscafi rombanti che sfrecciano veloci tra le boe, voci stridule di mamme ansiose che cercano i propri figli nascosti tra cento bambini nell’acqua piatta e calda della baia... rumori molesti che non si placano neanche quando il sole si tuffa lentamente in mare, e la sua palla di fuoco è talmente grande che sembra di sentirla sfrigolare sull’acqua...
Cerchiamo comunque di gustarci la cena in taverna a base di calamari fritti, insalata greca e tzatziki, senza farci sopraffare dalla confusione disordinata della località turistica e, quasi per compensare, decidiamo di passare la notte in bivacco… ma mai scelta fu più sbagliata, l’umidità scende a secchi, la parete alta alle spalle della spiaggia arresta la brezza di mare che calda e secca si alza sempre all’imbrunire e così la mattina dopo ci svegliamo inzuppati come dei pulcini...
Poco più a sud della baia di Petani, oltre le Twelve Island, si apre una delle spiagge più incantevoli dell’intera isola, Platia Ammos, una parete aperta a mezza luna sulla lunga spiaggia di sassolini levigati, talmente belli e ricchi di striature colorate da volermeli portare tutti a casa, una immensa frana a nord e una scalinata infinita a sud, tutta tortuosa e pericolante, che sale fino al cielo seguendo a zig-zag la profonda fenditura nella parete rocciosa e che dall’alto offre un panorama incredibile ed indimenticabile!!!
Dopo aver nascosto furtivamente qualche sassolino nel gavone del kayak, evitando lo sguardo inquisitore di Mauro che mi rimprovera di appesantire ulteriormente il carico con i miei continui “ritrovamenti” in spiaggia (sassi e conchiglie a non finire), ci imbattiamo in uno dei pochissimi veri fari dell’isola, questa volta non solo imponente e maestoso nel suo profilo alto e slanciato sulla costa divenuta improvvisamente bassa e pianeggiante, ma anche dal nome indiscutibilmente fantastico: Faro di Gerogombos!
Si apre un breve tratto di costa ricamata di grotte rossastre, illuminate dai riflessi dorati dell’acqua turchina, scogli sistemati ad arte tra bassi promontori e piccole insenature, archi naturali e buchi e bucherelli aperti nella roccia apparentemente friabile come un torroncino alle mandorle...

Vogliamo sbarcare perché io comincio a sentire un certo appetito e perché Hanry sembra entrato in crisi di astinenza... scorge due persone in lontananza, zaino in spalla in una rada desolata, e comincia a snocciolare quella che credo una filastrocca scozzese “Dove c’è gente, c’è strada; dove c’è strada, c’è casa; dove c’è casa, c’è pub e dove c’è pub, c’è BIRRA!”
Surfiamo sulle ondine spumeggianti gonfiate dal vento di nord ovest che sta caparbiamente rinforzando e seguiamo a distanza Mauro che diventa veloce come un gabbiano... quando a qualche metro dalla spiaggia vira decisamente verso sinistra, capiamo che, se non è improvvisamente impazzito, deve avere scovato un angolo di paradiso!
Infatti, si delinea il profilo inconfondibile di una tipica taverna greca, capanno di legno con foglie di palma sul tetto circolare, pavimento di sabbia rossa tenuta volutamente bagnata, tavolini in legno e seggiole da capitano di vascello, con una particolarità non trascurabile che rende la taverna “Spiaggia” unica ed inarrivabile: una padrona inglese naturalizzata greca, poche parole sulla bocca tirata, humor inconfondibile e glaciale come l’ouzo che serve abbondante e ghiacciato ai numerosi avventori... Hanry lamenta mancanza di disciplina e non riusciamo più a smettere di ridere!
Un po’ brilli cerchiamo di doppiare Capo Akrotiri e... meraviglia, sbrachiamo sulla “Luna”!
Quando pensavamo di aver concluso in bellezza una giornata indimenticabile, ci troviamo a vivere un’altra grande emozione!!!
La “Luna”: una baia chiusa di acqua bassa e limpida, una spiaggia stretta di sabbia rossa, calda e setosa, una parete di creta grigio perla, che con le luci della sera si anima di bassorilievi egizi, come suggerisce Mauro, che deve essere ancora completamente ubriaco, tanto che non smette di parlare, ridere, incespicare e chiedere di scattare fotografie alla laguna di Koulopetra; un paesaggio lunare che al tramonto acquista colori prima di fuoco e poi di ghiaccio... indimenticabile!

La giornata seguente, purtroppo, non poteva essere altrettanto emozionante: Lixouri è la più brutta città di mare mai incontrata, Argostòli è la capitale più deludente mai visitata ed il pronunciato golfo interno è la delusione più cocente del viaggio!
Inoltre, ci tocca pure di superare la prova più ardua della giornata: due stabilimenti balneari carichi di gente e ricoperti di ombrelloni, le spiagge di Makris e Platis Gialos, nel cui specchio di mare rischiamo la vita nell’estremo tentativo di evitare una selva di motoscafi impazziti che trascinano sulle onde a velocità inaccettabili dei gommoncini dalle forme assurde (banane, ciambelle e matterassoni a 4 posti) con il solo scopo apparente di compromettere definitivamente la capacità motoria degli occupanti...
Incredibilmente, appena oltre le due affollate e rumorose spiagge attrezzate, si apre uno degli spettacoli più affascinanti dell’isola, un breve tratto di costa rocciosa pennellata di bianco rosso e marrone a tinte forti; visto che nessuno dei turisti impegnati a rompersi l’osso del collo se ne accorge, recuperiamo velocemente il silenzio e la pace che solo un angolo di natura incontaminata sa trasmettere!
Montiamo il campo sulla spiaggia di sabbia incastonata nella roccia lavica che delimita la pista di atterraggio dell’aeroporto di Argostòli, l’unico dell’isola, e ci riprendiamo dalle fatiche di una tappa più lunga del solito (34 chilometri) osservando ammaliati un enorme uccello di metallo che distende le sue ali lucenti sulle nostre teste, così basso che sembra non voler decollare...
Il sole si colora di arancio vivo mentre ci laviamo via uno spesso strato di salsedine, di amaranto intenso mentre ci prepariamo una cena fumante e sostanziosa a base di cous-cous, e di cobalto scuro mentre ci montiamo la tenda per la notte… tra uno sbuffo di sigaro di Mauro ed un sorso di ouzo di Hanry, accoccolata tra le rocce porose di questo luogo magico, cerco la mia costellazione preferita, il Delfino, chiudo il diario e mi addormento felice...
L’indomani sarà anche l’ultimo giorno su Cefalonia prima della traversata verso Zante e ci sentiamo già proiettati verso nuovi orizzonti: l’isola grande ci regala un promontorio di quarzo che sembra un albero di Natale illuminato dai riflessi del sole, qualche cala che ricorda ancora la “Luna” ed una lunga pagaiata sotto il fianco alto ed imponete del monte Enos, che domina l’intera isola e che da lassù sembra quasi volerci salutare...
 

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