TATIYAK - letture

Tres años a traves del Artico
El relato de la “Expedicio Circumpolar Mapfre ‘92”
Ramon Larramendi / Antonio Peral / Manuel Marañon / Rafael Peche – 1993

Scheda del 11 marzo 2011 a cura di Tatiana Cappucci

La spagnola “Spedizione Circumpolare Mapfre ‘92” ha attraversato l’Artico nordamericano dalla città di Narsaq in Groenlandia a quella di Valdez in Alaska nell’arco di ben tre anni, dal 12 febbraio 1990 al 25 marzo 1993.
Seguendo il mitico “Passaggio a Nord-Ovest”, i quattro componenti del gruppo hanno utilizzato unicamente i mezzi di trasporto tradizionali Inuit: slitta di cani, kayak e marcia a piedi.
Hanno così coperto oltre 14.000 chilometri, senza utilizzare appoggi aerei per i rifornimenti, né mezzi meccanici per il viaggio né sistemi elettronici per la navigazione: si tratta della più lunga traversata polare non meccanizzata della storia, che ha superato di più di 4.000 chilometri il precedente record stabilito nel 1974-1976 dal giapponese Naomi Uemura!

Ramon coinvolge nella spedizione altri tre amici e riesce innanzitutto a vincere due pregiudizi: che per battere un record si deve fare tutto nel minor tempo possibile e che per realizzare grandi imprese occorre molto denaro.
Pensano dapprima di ottenere sovvenzioni dal governo spagnolo in occasione dei festeggiamenti per il Cinque Centenario della conquista dell’America ma poi arrivano i fondi dell’agenzia assicurativa per la quale lavorava il padre, Mapfre appunto: nei tre anni trascorsi nell’Artico solo Ramon non fa mai ritorno in Spagna, mentre i suoi tre compagni si alternano per accompagnarlo durante il cammino via terra o via acqua.
Le loro relazioni interpersonali sono state talvolta difficili ma hanno permesso loro di scoprire come un grande legame di amicizia, affetto e rispetto reciproco permetta di superare ostacoli talvolta insormontabili: la determinazione, la forza e l’ingegno, oltre alla loro buona stella, li hanno aiutati a fare il resto, per compiere un’impresa davvero eccezionale.
Una vaga idea della spedizione è fornita dalla mappa dell’itinerario seguito, una della varie carte riportate in appendice al volume, insieme ad una moltitudine impressionante di dati sugli avvistamenti di animali selvatici e sugli “altri membri della spedizione” (ben 69 cani husky elencati con nome proprio e slitta di appartenenza), sulle distanze coperte e del tempo impiegato (4.000 chilometri solo in kayak!), sui dati geografici (71 villaggi visitati, di cui 61 Inuit!), su quelli meteorologici (temperatura oscillante tra i -51°C di Kaltag ed i +25°C di Inuvik!) e sulle varie rilevazioni effettuate (i membri della spedizione sono caduti in acqua 9 volte per le fratture del ghiaccio ed una per avere perduto l’equilibrio in kayak!!!).

Il volume è particolarmente interessante perché è scritto ad otto mani: tutti e quattro i membri della spedizione hanno contribuito trascrivendo parte del proprio diario di viaggio e raccontando ciascuno la propria esperienza; colpisce sopra ogni altra cosa il forte legame che li ha uniti e la grande carica di comprensione che li ha animati per tutta la durata del viaggio.
Le difficoltà logistiche dei primi tempi, dovute all’inesperienza nella conduzione della slitta trainata da una muta di cani ed alla difficoltà di comunicazione con gli abitanti dei villaggi Inuit, vengono a poco a poco superate dalla passione dei quattro per l’ambiente polare e dalle prime e solide amicizie strette con i locali: “non ho mai visto niente di simile a questo villaggio (Sondre Upernavik nel Nord-Ovest della Groenlandia), tutti ridono costantemente, dai bambini agli anziani e si nota un ambiente sano nella comunità”.

Il 7 giugno 1990 Ramon e Manuel cominciano la prima traversata in kayak della spedizione, da Narsarsuaq a Ukkusissat per risalire l’intera costa occidentale della Groenlandia, ma ad Aassiat l’incidente quasi mortale occorso a Manuel, caduto dal kayak per il forte vento e le grandi onde che ostruiscono uno stretto, convincono Ramon a proseguire in solitaria per la seconda metà del tragitto; al suo arrivo, scopre di avere un nome Inuit e tutti lo chiamano felici a gran voce: Aroni! Aroni! Aroni!
I due kayak utilizzati per la prima parte della spedizione in Groenlandia sono due fiammanti modelli della Valley dalle linee marine e filanti; i tre kayak della traversata finale verso l’Alaska, invece, sono dei Prijon con timone, più larghi e più corti, che non consentono di stivare tutta l’attrezzatura nei gavoni... ma che si rivelano perfetti, con la loro chiglia piatta, quando dovranno essere trainati sulle immense distese stagnanti della tundra al tempo del primo disgelo!

                   

Quando sbarcano al Club di kayak di Nuuk conoscono Jonas Moller, uno degli ultimi costruttori di kayak tradizionali groenlandes,i anche se ormai utilizza tela impermeabilizzata invece di pelle di foca per il rivestimento esterno: “la struttura del kayak si fabbrica con pezzi di legno arcuati, legati con corde di pelle di foca; potrebbe sembrare inverosimile, ma non si utilizzano né chiodi, né viti né altri pezzi metallici per la costruzione di una imbarcazione tanto sofisticata. L’ultima fase consiste nella realizzazione con osso, pelle di foca e legno della pagaia e di tutti gli arnesi per la caccia: il risultato è un’opera d’arte”.
Mentre Jonas spiega loro come costruire un kayak tradizionale, non perde comunque occasione per criticare kayak in vetroresina dei “spaniamiut pingasut” (tre spagnoli in Inuktitut)!
Oltre alla tradizionale tecnica di caccia e pesca, i quattro imparano presto anche una nutrita serie di espressioni idiomatiche ed aumentano la loro capacità di comunicazione con i locali, tanto da allacciare anche relazioni sentimentali con le ragazze Inuit: il taalutaq è la vela bianca per la caccia che si posiziona sul ponte di prua del kayak per rendere il cacciatore invisibile alle prede, il kakavik è l’arpione col tridente utilizzato per la pesca dalla riva del salmone, il nissik è il gancio per arpionare le foche, il tooq è il rompighiaccio per allargare i buchi di respirazione che le foche aprono nel ghiaccio, il mattaq è la pelle di narvalo apparentemente molto gustosa.
E poi issi per freddo, naamatooq per buono, naamangitooq per cattivo, nerrivik per tavola, sinirfik per letto, pilluarisi per auguri, qujanaq per grazie, ingerlalluarisi per buon viaggio!

Un giorno partono con altre famiglie che si spostano per la caccia: “siamo uno spettacolo meraviglioso: formiamo una carovana di otto slitte con più di cento cani, uomini e donne vestiti con abiti in pelle di parka di caribù, pantaloni di orso polare e stivali di pelle di foca”!
Notano subito che gli Inuit non usano né bussola né mappa, hanno tutto registrato “en la cabeza” e possono riconoscere senza fatica diversi tipi di ghiaccio: quello nuovo, di un anno, di vari anni di età, degli iceberg, umico, secco, dolce, salato, dell’autunno e della primavera e, scrive Ramon, “quando si imparano a riconoscere, tutti risultano chiaramente differenti”!
“La navigazione mi sembra uno delle sfide più appassionanti del viaggio poiché esige costantemente di scrutare il terreno e di notare anche la cosa più insignificante, di pensare e di razionalizzare. Le chiavi per orientarsi sono nella Natura e l’idea di questo viaggio è di legarsi a questa Natura selvaggia e di accettare le sue sfide”.
Le sfide saranno molte: perderanno un intero tiro di cani, fuggiti nella nebbia e affogati nel mare ghiacciato forse attirati dall’odore di un orso polare e piangeranno lacrime amare mentre saranno costretti a proseguire in due su una sola slitta; perderanno un compagno di viaggio, perché la relazione già difficile tra Ramon e Rafael peggiora col passare del tempo e convince tutti che le riprese video fotografiche debbano essere concentrate solo in alcune tappe per non obbligare i due a viaggiare ancora insieme; perderanno anche il buon umore e l’allegria, quando il lungo inverno polare comincerà a pesare sul loro morale, ampliando la nostalgia di casa e aumentando lo stato di prostrazione psicofisica in cui a turno cadranno tutti. Però porteranno a termine con successo la spedizione ed impareranno a rispettare se stessi, gli altri, la Natura e soprattutto l’Artico!

Il volume è arricchito da una serie di schizzi e disegni, realizzati presumibilmente dai quattro esploratori, che ritraggono alcune scene di vita quotidiana (la costruzione dell’igloo, la pesca dai buchi nel ghiaccio, l’attesa nella caccia alla foca) ed alcuni dei momenti più emozionanti ed avventurosi del viaggio, oltre a tutti i singoli attrezzi utilizzati durante la marcia con le slitte (qamutit), dalle imbragature per i cani (anu) alla frusta di lattice (iperaataq) al coltello (savik).
Il libro non è facilmente reperibile e non è mai stato tradotto in italiano: risulta di facile consultazione ma occorre avere un minimo di dimestichezza con la lingua latina cugina perché è interamente scritto in spagnolo.
Noi abbiamo avuto la fortuna di trovarlo nel rifornito negozio di “Menorca en kayak” quando siamo stati sull’isola in kayak, ma solo perché due degli autori da qualche anno vivono lì.
Quando Ramon ci ha autografato il volume, ci ha confermato che anche in Spagna non si trova quasi più e lui stesso ne ha conservate solo poche copie...

Ramon Hernando de Larramendi è stato il direttore della spedizione quando aveva appena 25 anni.
Nato a Madrid nel 1965, sin da quando era un ragazzo ha coltivato un enorme interesse per le regioni polari e per le grandi traversate senza mezzi meccanici; per preparasi alla spedizione, ha incontrato i maggiori esploratori polari per ascoltare i loro racconti e raccogliere i loro consigli.
Dopo aver realizzato nel 1985 la traversata dei Pirenei con gli sci e dell’Islanda con gli sci e la pulka, ha partecipato nel 1986 alla spedizione Transgroenlandia; nel 1988 ha circumnavigato in kayak la penisola iberica (3500 chilometri) e nel 1989 ha pagaiato lungo la costa della Norvegia da nord a sud.
Dopo qualche anno ha fondato “Tierras Polares”, un’agenzia di viaggi specializzata nelle regioni polari; abbiamo avuto occasione di incontrarlo e conoscerlo nel febbraio 2011 al festival della montagna di Bergamo e ne abbiamo parlato sul nostro blog:
http://tatiyak.blogspot.com/2011/02/ramon-larramendi-at-orobie-film.html
http://tatiyak.blogspot.com/2011/02/arctic-dreams.html

Antonio Martinez Peral è nato a Madrid nel 1960 e ha seguito gli studi di ingegneria industriale; pratica l’alpinismo dall’età di 15 anni e poi si appassiona di speleologia, oltre che alle regate veliche e al parapendio.
Manuel Olivera Marañon è nato a Palma di Maiorca nel 1963 e anche lui ha seguito gli studi di ingegneria industriale. La sua attività principale è l’arrampicata su roccia e ghiaccio, ma pratica anche speleologia, parapendio e sci, oltre che il kayak, naturalmente.
Rafael Peche Acosta, il membro più giovane della spedizione, è nato a Madrid nel 1968; fotografo e cineoperatore ha realizzato alcune traversate a piedi ed in kayak e pratica lo sci, la subacquea e la scherma.
 

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