Un libro molto particolare, come un dialogo
diretto che l’autore imbastisce con il lettore. Si legge volentieri,
in un paio di serate si arriva al fondo delle 258 pagine, ed un po’
dispiace.
Un racconto sempre originale, acuto ed intelligente, una prosa
carica di ironia e di disincanto, un ragionare ad alta voce sulle
esperienze di vita, di montagna e di ghiaccio.
L’autore
consegna all’editore un manoscritto sulla traversata della
Groenlandia effettuata insieme a Robert Peroni, un’impresa da sogno,
ai confini del mondo, nell’impero del ghiaccio. Un viaggio
necessario per riportare ad Ammassalik le slitte ed i cani che
avevano permesso a due esploratori di attraversare la calotta polare
artica.
Nato quasi per caso, il sodalizio tra l’alpinista trentino e
l’esploratore tirolese sarà di stimolo ad entrambi per riflettere
sul passato, sul presente e sul futuro del Popolo Inuit.
L’esperienza dura della traversata è motivo di confronto sulle
tradizioni minacciate, sullo sfaldamento sociale, sulla tendenza
all’autodistruzione, sul pericolo di estinzione, sulla speranza di
una rinascita. Il lungo viaggio tra i ghiacci permette all’autore di
avvicinarsi a Rob, trasferitosi in Groenlandia già da diversi anni,
animato dal desiderio di vivere lontano dai bianchi e di aiutare
quegli ometti “timidi, grassocci e ridanciani”.
“Quando Rob cominciò a muoversi verso il ghiacciaio e a salirlo per
testare i primi materiali, qualcuno pensò che andasse a caccia e si
offrì di accompagnarlo in kayak o in slitta con i cani,
almeno fino alla base. Così poté controllare tutte le precauzioni e
capire tutti gli accorgimenti che quel modo di andare, all’apparenza
così semplice, richiedeva. Perché in quell’ambiente non c’era niente
di facile e ogni movimento doveva essere fatto in un certo modo,
sempre nello stesso, per evitare dei guai seri”.
Robert Peroni ha avviato negli anni un’attività turistica per
scoprire l’Artico e la Groenlandia con gli sci a piedi, con le
slitte trainate dai cani, con le guide Inuit per passare sui
ghiacci. La sua Red House è diventata il punto di riferimento per i
viaggiatori che si avventurano ogni estate su quelle terre fredde e
all’apparenza inospitali. E Franco Giovannini ne racconta gli
albori, i primi tentativi di introdurre il turismo in una società
che mai lo aveva conosciuto, di avviare al lavoro di guida
cacciatori abituati a rincorrere le foche, non certo ad assistere
uomini bianchi nel picchettare le tende.
Ne
esce un quadro curioso, stimolante e forse anche un po’ malinconico:
"I sogni sono terribili e sanno sedurre, sanno anche promettere,
sanno farti intravedere una grande luce, alla fine di tutte le
fatiche, sanno prometterti la gioia. Però, i sogni sono il prodotto
dell'intelligenza, di quel di più che ci distingue dagli animali, e
perciò possono essere il massimo in positivo e in negativo, possono
elevarti o sprofondarti, darti, appunto, gioia o disperazione".
Franco Giovannini è ingegnere, nasce a Trento, vive e lavora a
Milano; un passato importante di alpinista e di viaggiatore nelle
regioni più remote della terra, dall’Himalaia, all’Antartide, alla
Patagonia, alla Terra di Baffin. Ha pubblicato altri libri di
montagna: Arrampicare era il massimo, Vivalda, Torino, 1994; Sud,
Est, Nord e noi, Greco&Greco Editori, Milano, 1998; Tibet e
dintorni, CDA, Torino, 1999. E’ ritratto nella copertina del libro
in una foto dell’archivio Giovannini che dice molto dei suoi
sentimenti per la montagna e per i ghiacci.
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