TATIYAK - Cineforum Inuit 2012

Agaguk - L'ombra del lupo
Regia di Jacques Dorfmann
Fotografia di Billy Williams
Protagonisti: Lou Diamond Phillips, Jennifer Tilly, Toshiro Mifune, Donald Sutherland e molti attori Inuit
Film d’azione a colori, doppiato in spagnolo
Durata 110 minuti

Scheda a cura di Tatiana Cappucci

Il film del 1992 è tratto dall’omonimo romanzo di Yves Theriault, un prolifico scrittore del Quebec che nel 1958 ha pubblicato questa toccante storia sul conflitto culturale tra Inuit ed uomini bianchi, sullo sfondo delle immense distese ghiacciate dei territori del nord-ovest canadese. La critica cinematografica del tempo è stata inclemente e ha sottolineato la “buona qualità di riprese e l’apprezzabile sforzo paesaggistico nel quale fanno bella figura le sequenze con animali (che i titoli del film garantiscono non essere stati maltrattati!)” ma anche “la miscela di denuncia etnica, onirismo sciamanico e sensibilità ambientale un po' di maniera” e “le scene d'azione sottotono, la regia sonnolenta ed una sceneggiatura che fa acqua”.
Noi abbiamo apprezzato il film per i momenti da documentario sugli usi e costumi degli Inuit, sebbene molto adattati alle esigenze cinematografiche di un film di cassetta.
La prima scena si apre su un magnifico paesaggio ghiacciato: una slitta trainata dai cani corre sulle infinite distese bianche, seguita da un bell’esemplare di lupo dagli occhi gialli. Siamo nel Grande Nord del 1935. La slitta si ferma, il cacciatore la ribalta, poi si alza, poggia il fucile e si toglie gli occhiali, quelli di osso intagliati con due piccole fessure orizzontali, fissati intorno alla testa con una stringa di pelle.
I costumi del film, per quanto scenografici, sono molto credibili e permettono allo spettatore di calarsi subito nel rigido ambiente artico.

         

Un lupo si affaccia sulla vallata, un’aquila prende il volo e all’improvviso compare un gigantesco orso polare! Con l’ingresso in scena degli animali, comincia a dipanarsi la trama del film.
Agaguk è un giovane eschimese, figlio dello sciamano Croomak. Il ragazzo è uno dei cacciatori più forti, vive secondo le millenarie usanze del suo popolo ed è infastidito dalla presenza dell’uomo bianco. E’ stato un inverno rigido: “Gli spiriti della terra non sono stati molto generosi”, osserva lo sciamano. La risposta del commerciante bianco non lascia speranze: “Se non avete pelli da vendere, non posso darvi tabacco, alcool ed alimenti”. Quando Agaguk rientra dalla caccia con la pelle dell’orso, il padre gliela chiede in regalo ma Agaguk rifiuta perché per tradizione la pelle dell’orso spetta al cacciatore che lo ha visto ed ucciso. Nei fumi dell’alcool, invece, lo sciamano baratta la pelle con due bottiglie di liquore. Irritato dal comportamento meschino del commerciante, Agaguk cerca di recuperare la pelle ma ne nasce una lite furibonda in cui l’uomo bianco rimane ucciso. Lo sciamano scaglia su di lui una maledizione: “Hai girato le spalle al tuo popolo, lo spirito dell’uomo bianco ti darà la caccia”. Iniziano così le peregrinazioni di Agaguk, costretto ad abbandonare il suo popolo insieme alla giovane moglie Igiyook. Ma un lupo li segue minaccioso, la sua ombra accompagna il cacciatore in tutti i suoi spostamenti ed una notte lo assale: Agaguk riesce a salvarsi ma rimane sfigurato.
“Per diventare uno sciamano si deve prima morire e poi ritornare a vivere”. Il padre Croomak finisce così per perdonare il figlio e lo riaccoglie in seno alla comunità, proprio quando un poliziotto bianco, l’agente Henderson, è arrivato all’accampamento per arrestarlo. Dopo una serie di vicissitudini, sarà lo stesso Croomak a consegnarsi alla giustizia dei bianchi, ma una volta salito sull’aereo che si presume debba condurlo in carcere, il vecchio si divincola e, sotto gli occhi stupefatti dei poliziotti e quelli ammirati della sua gente, si trasforma in aquila per volare verso la libertà...

Il film offre uno spaccato (per quanto romanzato) della vita quotidiana in un accampamento Inuit.
Molte scene sono state girate all’interno della Grande Casa invernale, pur rappresentata come una serie di igloo comunicanti mentre era solitamente costituita di una sola stanza rettangolare delimitata da pietre e zolle d’erba e ricoperta di travi di legno, pietre piatte di scisto, pelli dismesse di foca e neve ghiacciata. Sul fondo troneggiava la pedana ricoperta di pelli sulla quale dormivano diverse famiglie, ognuna in una spazio ben definito loro assegnato dal più anziano ed autorevole del gruppo. Davanti alla pedana ogni donna accendeva una lampada di steatite alimentata col grasso di foca e lo stoppino di licheni essiccati. Sulla lampada veniva sospesa una grata per asciugare stivali ed indumenti, che andavano battuti con un bastone da neve ogni volta che si rientrava nell’igloo per evitare che gocciolassero all’interno. Durante i nove mesi del lungo inverno artico la comunità si stringeva intorno al fuoco dell’igloo e rinforzava i legami d’affetto, amicizia e parentela: si inscenavano giochi, sfide e canti di tamburo, si preparavano le pelli e si intagliavano gli amuleti.
Nel film tutto questo è un po’ mescolato e travisato ma si vede chiaramente, per esempio, un cacciatore che usa il trapano ad arco. “Inuit, indiani e uomini bianchi discendono tutti dalla stessa madre” spiega Igiyook quando regala ad Agaguk una tesserina di avorio incisa col coltello. Sono più amerindiani che Inuit il taglio e le decorazioni dei capelli delle donne, le borse a tracolla dei cacciatori e la struttura dell’accampamento estivo. Come pure è edulcorata la scena del parto perché i neonati venivano puliti prima leccandoli e poi strofinandoli con una coda di lepre imbevuta di urina... E’ poco credibile anche la scena della caccia al lupo, mentre è più verosimile quella della caccia alla foca. Molto caotica e scomposta è invece la caccia alla balena, in cui vengono coinvolti sia due kayak che un umiak: però si vedono le pagaie groenlandesi e si intuisce bene la strategia collettiva dei cacciatori Inuit di arpionare la balena con più arpioni legati ai galleggianti, gli avatak, le pelli di foca piene d’aria che avevano la funzione di sfiancare la preda e di segnalare la sua presenza tra i ghiacci.

                   

Simbolico il volo finale dell’aquila sull’inukshuk, la statua di pietra simbolo dell’identità degli Inuit, usata come punto di riferimento nelle distese ghiacciate o per confondere i caribù durante le battute di caccia.
Emblematica una delle frasi che Agaguk rivolge ai poliziotti bianchi che stanno portando via Croomak: “E’ questa la vostra legge? Pensate che il vento, la neve, il lupo o la balena possano rispettarla? Gli Inuit non vivono secondo le leggi dell’uomo bianco! Sono figli della terra e vivono secondo le sue leggi!”
Non poteva mancare un finale catartico in cui sempre Agaguk, compresa l’inutilità della violenza e dello scontro di civiltà, conclude con un’amara considerazione: “Non vale la pena di uccidere i bianchi, sono troppi, meglio vivere la vita degli Inuit ed aspettare che l’uomo bianco cambi”.
 

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