TATIYAK - Cineforum Inuit 2009

Kabloonak
Regia di Claude Massot
Protagonisti: Charles Dance (Robert J. Flaherty), Adamie Inukpuk (Nanook), Seporah Q. Ungalaq (Nyla)
Film drammatico a colori doppiato in italiano
Durata 102 minuti

Scheda a cura di Tatiana Cappucci

Kabloonak è un film imperdibile per gli appassionati di cultura Inuit!
E’ la storia incredibile ed emozionante della profonda amicizia che lega il regista di “Nanook of the north”, quel Robert Flaherty che tanti mesi aveva trascorso tra i ghiacci del Grande Nord per riprendere le abitudini di vita degli Inuit, ed uno dei cacciatori protagonisti della pellicola, l’eschimese che aveva interpretato proprio il mitico Nanook.
Personaggi molto particolari, il cacciatore ed il regista stringono subito un’alleanza che si trasforma presto in reciproca stima e profondo rispetto, nonostante i limiti culturali e le difficoltà di comprensione.
Lo stravagante regista, che durante le riprese aveva portato con sé persino un pianoforte ed una vasca da bagno smaltata di bianco, scoprirà che le riprese non potranno essere portate a compimenti senza la fattiva collaborazione degli Inuit e che comunque tutto sarà subordinato alla fondamentali esigenze di sopravvivenza di quel lontano popolo dei ghiacci: quando fiutano l’arrivo delle foche, gli Inuit sospendono qualunque cosa e si recano a caccia.

Al polo nord un cacciatore Inuit muore.
A New York un uomo entra in un bar, sconvolto, si apparta in un angolo del locale ed ordina da bere.
E’ il 1922 ed inizia così un lungo flashback.
Il 15 Agosto 1919 un americano di origine irlandese, Robert Flaherty, arriva a Port Harrison, ai confini della baia di Hudson, in Canada. Tra i suoi bagagli una macchina da presa a manovella, della pellicola, il necessario per un piccolo laboratorio di sviluppo e un proiettore.
L’impresa, all’epoca, sembra insensata. I pochi bianchi che si avventurano al Grande Nord sono dei commercianti. Tra loro e gli Inuit i rapporti sono semplici: pellicce in cambio di mercanzie varie.
Ma cosa vuole quest’uomo con la sua scatola con l’occhio di vetro?
L’uomo non domanda altro che di condividere la vita degli Inuit, mettendo in funzione, di tanto in tanto, davanti a loro, quella scatola magica, con il suo occhio che scruta e riprende.
Flaherty passa un anno nella piccola comunità e manifesta un interesse appassionato - incomprensibile agli occhi degli Inuit - per i differenti aspetti della loro vita quotidiana: la costruzione degli igloo, i viaggi sulle slitte trascinate dai cani, la caccia all’orso, la pesca nei buchi fatti nel ghiaccio...
È facile immaginare la perplessità, seguita dall’ilarità degli indigeni, allorché il regista, volendo filmare la vita all’interno dell’igloo, a causa della scarsa sensibilità della pellicola e dell’impossibilità di usare una fonte luminosa sotto la calotta di ghiaccio, è costretto a scoperchiare il tetto dell’abitazione per filmare l’intimità di Nanook e della sua famiglia; nudi sotto le pelli di animali, soffiando piccole nuvole di fiato, gli Inuit devono recitare la parte di chi si prepara per la notte.
In una delle nature più belle e più ostili del pianeta si svolgono altri piccoli aneddoti (la festa di Natale, le proiezioni degli spezzoni girati, i rituali collettivi) che raccontano spesso di una vita ai limiti della sopportazione, ma vissuta con gioia e con estrema dignità.
Flaherty e Nanook, in viaggio per alcune settimane per filmare la caccia all’orso, affrontano temperature di meno 4O gradi in mezzo alla nebbia e tra continue bufere di vento. Sulla via del ritorno, quasi alla fine delle loro scorte di petrolio, senza ormai la possibilità di riscaldarsi né di cuocere le provviste alimentari congelate, i due uomini si sentono condannati a una morte rapida.
È allora che il regista si ricorda che la pellicola (che contiene, all’epoca, della nitro-cellulosa particolarmente infiammabile) può costituire del combustibile provvidenziale. Il film che li stava conducendo a una morte sicura li salva in extremis.
Ma Nanook non è mai rientrato da una battuta di caccia senza un orso: si sente umiliato dinanzi al suo popolo e riparte alla volta del Grande Nord; rientra giusto in tempo, e stavolta con la tanto sospirata preda, per salutare il regista che si imbarca per rientrare a New York.
Non sarà facile scordare il sorriso della bella Nyla e del piccolo cacciatore Nanook.
Quando Flaherty riceve un telegramma che lo informa della morte di Nanook («starved to death in a deer hunt» - ucciso dalla fame durante una battuta di caccia ai cervi) la sala cinematografica all’angolo proietta proprio il suo film “Nanook of the north”.
Il cacciatore ed il registra non si incontreranno mai più.

         

Il film ripercorre le tappe di una grande amicizia, di un grande popolo e di un grande opera cinematografica.
Per chi ha visto il primo “Nanook of the north” è una pellicola assolutamente imperdibile!
È più bello di un dietro le quinte, più avvincente di un remake, più convincente di un sequel... è un grande omaggio ad uno dei più importanti registi cinematografici e al contempo una ispirata celebrazione di un grande popolo.
Presentato al Montreal World Film Festival nell’agosto del 1994, l’anno della sua uscita, il film è un condensato di ottima arte cinematografica, dalla regia alla fotografia, dalla sceneggiatura alla capacità degli attori di richiamare la distanza tra le culture; il film è conosciuto anche con il titolo di “The stranger”.
La pellicola sa raccontare bene quanto possa essere goffo ed inadeguato un uomo bianco tra i ghiacci del Grande Nord e quanto la sua arte, la sua cultura, la sua raffinata ricerca del bello possano quotidianamente scontrarsi con le rigide condizioni climatiche del luogo e soprattutto debbano inevitabilmente abdicare di fronte alle rigorose regole di sopravvivenza delle genti artiche: l’attore Charles Dance impersona un Robert Flaherty capace di misurarsi con una dimensione altra e lontana, capace di entrare in sintonia con il popolo Inuit fino a sposarne una donna dalla quale avrà un figlio, capace di trasporre sulla pellicola tutta la dolcezza di persone all’apparenza dure e indurite dalla vita.
L’incontro con gli Inuit sarà determinante nella vita del regista e lo sarà per noi dopo la visione del film!
 

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