TATIYAK - Cineforum Inuit 2009

Building a kayak
Regia di Quentin Brown
Protagonisti: una famiglia Inuit
Film documentario in bianco e nero con dialoghi Inuktitut in presa diretta
Durata 66 minuti

Scheda a cura di Tatiana Cappucci

Il documentario è stato realizzato nel 1967 dalla National Film Board of Canada e fa parte di una nutrita serie di cortometraggi sugli Inuit pensati dall’Educational Development Center del Canada; prodotto dal regista Quentin Brown a da Kevin Smith, è stato originariamente suddiviso in due parti ma seguire la costruzione del kayak senza interruzioni o intervalli rende più piacevole ed istruttiva la visione: mentre nella prima parte l’occhio della cinepresa di sofferma più sulle scene di vita domestica durante l’estate artica, nella seconda parte segue con attenzione la progressione dei lavori sul kayak, fino alla prova in acqua: “the man launch and test their new kayak and admire its performance”!

La pellicola documenta la costruzione di un kayak da mare ad opera di due cacciatori Inuit.
E’ ambientato sulle sponde del mare ormai libero dai ghiacci nella bella stagione estiva: il campo estivo, una tenda di pelli, una spiaggia di pietre, una piccola famiglia composta da moglie e marito ed un figlio ancora piccolo ma già in grado di stare in piedi... qualche oca all’orizzonte osservata con cupidigia dai protagonisti, ma non c’è tempo per la caccia, occorre prima terminare la costruzione del kayak.
La lentezza del vivere quotidiano segna anche il ritmo di lavoro e le poche abitudini consolidate rendono ogni gesto magistrale; sembra di capire che l’ospite anziano sia stato chiamato di proposito per assistere il cacciatore più giovane nella difficile e raffinata arte di costruire un kayak da mare a mani nude e con pochissimi strumenti di lavoro.
Le musiche sono del tutto assenti, non c’è colonna sonora, non c’è alcun suono che accompagna il lavoro meticoloso della famiglia; si sentono solo di quando in quando le voci raccolte in presa diretta dei protagonisti, i tre adulti che parlano ed il piccolo irrequieto che ride, niente altro.
Colpisce subito l’uso del trapano manuale per realizzare i fori sulle centine: un punteruolo di legno tenuto stretto tra le labbra, un archetto ed una funicella che lo fa roteare velocemente... davvero ingegnoso!

         

Le centine vengono avvicinate e composte; piano piano si delinea la sagoma vuota del kayak, prima l’alzata del ponte anteriore, poi lo scafo ed infine i ponti superiori: incanta il lavoro certosino per ricavare le centine dalle assi di legno grezzo, le pietre della spiaggia usate come cunei, si sceglie quella di misura più adatta, pochi attrezzi, tutti naturali e sempre a portata di mano!
La moglie del cacciatore, intanto, prepara le pelli ed il suo labbro inferiore tradisce una vita trascorsa a conciare le pelli con i denti e la saliva; la donna pulisce le pelli con il raschietto a mezzaluna, manico di legno a forma di oliva ed estremità arrotondata di ferro o di osso; poi le porta al torrente di acqua dolce e ghiacciata e le ammorbidisce facendole affondare sotto grandi ciottoli; infine, torna a pulirle, togliendo anche le ultime tracce di pelo di foca.
Le cime per fissare le centine sono ottenute dalle pelli, tagliando delle striscioline dai bordi esterni; chissà come riescono a ricavare le cime più resistenti di tendini di foca... quelli che vengono intrecciati tutt’intorno alla struttura interna del kayak per tenere insieme tutte le sue parti.
Le centine vengono poi scaldate: immerse nel pentolone di sangue di foca che ribolle sul fuoco, sono lavorate con i denti, piegate leggermente di volta in volta finché non assumono la forma di tutte le altre.

L’ultima attenzione per il pozzetto, non una misura standard ma calibrata sulla morfologia di ogni cacciatore e forse anche sull’ingombro delle pellicce indossate, incredibilmente calde ma inevitabilmente gonfie.
Finalmente è la volta delle pelli di foca cucite ad arte sullo scafo e tutt’intorno al kayak: i gesti sono antichi e sapienti, pochi passaggi di ago di avorio e la sagoma del kayak che magicamente si riempie.
Secondo gli antichi riti sciamanici, occorre sistemare a prua un piccolo portafortuna, per allontanare gli spiriti malvagi o per scongiurare le cattive intenzioni di qualche altro cacciatore, un portafortuna come quello in legno che adesso orna le cime del ponete anteriore, forse un piccolo orso o un grande tricheco.

         

Il varo del kayak è preceduto dalla sistemazione del sedile: una pelliccia bianca e morbida adagiata sul fondo del pozzetto, null’altro occorre per rendere confortevole la navigazione nelle fredde acque artiche.
La prova in acqua sembra spaventosa, l’equilibrio estremamente precario ed il pozzetto altissimo… per non dire della pagaia, che sembra un tronco dal manico così largo che pare affondare... forse è ancora grezza, finiranno di lavorarla in un secondo momento, magari al caldo della tenda...

La caccia al salmone occupa un momento di “riposo” della giornata e viene effettuata con un arpione dalla punta mobile per assecondare i movimenti inconsulti dei pesci appena catturati; la pausa dal lavoro si protrae durante il pranzo, allestito in maniera informale dopo aver preparato il pesce con la solita mezzaluna, l’ulu, un attrezzo utilizzato dalle donne per qualsiasi lavoro domestico.
I tre protagonisti del documentario non guardano mai in macchina, salvo il bambino, e sembrano totalmente assorti nel loro lavoro, chiacchierano fitto e talvolta ridono di gusto, per ragione a noi incomprensibili!
Il bambino, invece, si annoia visibilmente, ma gioca instancabilmente: gioca a nascondino con la cinepresa nelle prime scene del documentario, gioca ad impilare le pietre piatte della spiaggia (un antesignano del rock balancing moderno?), gioca a stare in equilibrio su un tronco con la pagaia in pugno; poi si inventa un gioco più macabro: rianimare un gabbiano morto; e non smette mai di disturbare i genitori, mordendo il cappuccio del padre o scalando la schiena della madre, che lo lascia fare e poi lo bacia sfiorandogli in naso.
Quando il lavoro è terminato, ed il kayak viene adagiato sul pelo dell’acqua, allora si può finalmente andare a caccia!
 

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