TATIYAK - Cineforum Inuit 2009

Avik e Albertine
Regia di Vincent Ward
Musica di Gabriel Yared
Protagonisti: Jason Scott Lee, Anne Parillaud, John Cusack, Patrick Bergin, Jeanne Moreau
Film drammatico a colori, doppiato in italiano
Durata 106 minuti

Scheda a cura di Tatiana Cappucci

Il titolo originale rendeva merito alla trama più di quello italiano: “Map of the human heart”.
Più che il contrastato rapporto tra Avik ed Albertine, infatti, la pellicola cerca di indagare la mappa delle relazioni umane, talvolta complicate dalle intemperanze del cuore.

Negli anni trenta un ragazzo Inuit malato di tubercolosi viene condotto da un ufficiale britannico in un sanatorio di Montreal, dove incontra un'orfana pellerossa; Avik e Albertine diventano inseparabili, con grande disappunto della loro insegnante, che invece vorrebbe soffocare lo spirito pellerossa della ragazza per facilitarle l’ingresso in società.
Avik, che pure ha sangue bianco nelle vene da parte del padre baleniere, non riesce ad adattarsi alle rigide regole dell’ospedale e quando Albertine viene trasferita, dopo un rocambolesco tentativo di fuga insieme, sottrae dall’archivio le lastre dell’amica e le conserva per molti anni ancora. Ritornato nell’Artico senza riuscire più ad inserirsi nel tessuto sociale del piccolo villaggio di cacciatori, Avik ritrova dopo qualche anno lo stesso ufficiale britannico che gli aveva salvato la vita, e pur allettato dall’idea di seguirlo per intraprendere gli studi di cartografo, rinuncia per prendersi cura della vecchia nonna malata e cieca.
Avik non salirà sull’aereo dell’inglese e non salirà neanche sull’umiak della sua gente: ritenuto un pessimo cacciatore, responsabile della scarsità di cibo che affligge l’intero villaggio, viene lasciato a terra con il suo fagotto ed il suo kayak; la vecchia nonna, separata a forza dall’amato nipote, si lascia cadere dall’umiak, ormai lontano dalla costa, per trovare morte certa nelle gelide acque artiche. Rimasto orami solo sulla banchisa, Avik non si perde d’animo: imbraccia la pagaia e raggiunge (idealmente?) un mercantile in navigazione per imbarcarsi in nuove avventure.
Il destino del protagonista è segnato: un uomo senza terra e senza identità.
Ne cercherà disperatamente una raggiungendo prima il Canada, dove sa che Albertine studia canto e poi l’Inghilterra, dove spera di incontrarla. Viene però inaspettatamente ostacolato dall’ufficiale inglese, nel frattempo divenuta marito geloso della bella Albertine.
Ma i due mezzosangue scoprono di amarsi ancora ed un pittoresco appuntamento sotto la volta dell’Albert Hall sembra segnare l’inizio di una nuova vita insieme, che invece la guerra troncherà di netto. Avik non riuscirà a sostenere il peso degli orrori della guerra, della perdita degli amici più cari, della lontananza dalla donna amata e diverrà schiavo dell’alcool, della solitudine e forse della follia, emarginato in una terra che non è più la sua terra d’origine.
Presentato fuori concorso al 45° Festival di Cannes, non ha riscosso critiche positive: ridondante e squilibrato sul versante narrativo, ha sequenze suggestive nelle quali emerge il talento visionario del regista, il quale però non riesce a dare equilibrio all'opera.
Alcune scene rimarranno impresse per la loro dolcezza (i giochi sotto le lenzuola dei due orfanelli ricoverati in sanatorio), altre per la loro crudeltà (il bombardamento della città di Dresda), altre ancora per la loro poesia (l’incontro dei due amanti su un pallone aerostatico ancorato sulla collina di Uffington, dalla quale si gode un panorama ineguagliabile sul famoso cavallo bianco stilizzato, un omaggio alla donna che aveva sempre sognato di avere un giorno un cavallo tutto suo).

         

Seppur confuso nei sentimenti e nei significati, il film ha avuto il merito di accendere i riflettori su una realtà troppo a lungo dimenticata, quella di un popolo sopraffatto dalla modernità: Avik ed Albertine diventano così l’emblema di una intera generazione di giovani capaci ed intraprendenti schiacciati dal peso del cambiamento, incapaci di trovare un equilibrio tra tradizione e innovazione, attratti dall’innovazione ma impreparati a sostenerne l’impatto.
Avik è capace di rendersi utile sin da piccolo, quanto e più degli altri bambini del villaggio; aiuta il cartografo e curiosa tra i suoi strumenti; rimasto orfano, sembra non soffrire della sua condizione e si fa forza con le sue doti di sensibilità e veggenza, tipiche di un futuro sciamano; ma l’allontanamento precoce dal suo villaggio per sottoporsi alle cure mediche e la successiva rottura drammatica con il suo gruppo familiare segneranno la sua vita.
Gli Inuit sono solidali, aiutano i più deboli, accudiscono gli anziani e si occupano degli orfani; ma solo fin tanto che le condizioni di vita lo consentono e quando il cibo comincia a scarseggiare sono proprio gli orfani e gli anziani ad essere sacrificati per primi, una dura legge naturale accettata da tutti con estrema rassegnazione, consapevoli che il sacrificio di alcuni garantirà la sopravvivenza di molti.
Però gli Inuit non conoscono la guerra, non ne hanno mai combattuta una, hanno dovuto sempre combattere contro una nemica imbattibile, la natura, e non hanno mai disperso le loro già esigue energie per combattersi l’un l’altro; anche quando Avik e Albertine litigano perché scoprono di appartenere a razze diverse (“Sei indiana? Gli Inuit odiano gli Indiani!" e giù botte!), le schermaglie terminano in breve e si sciolgono in calde risate...
Eppure Avik si arruola nell’aviazione! Gli Inuit, che pure non sanno fare la guerra, sono stati da sempre ottimi “puntatori”, hanno sempre avuto un infallibile senso dell’orientamento, ed è molto plausibile che quei pochi Inuit giunti nel vecchio continente siano stati utilizzati nell’esercito proprio per sfruttare quelle loro doti innate... così Avik prende posto sul bombardiere e pur di sentirsi integrato in una qualunque struttura sociale partecipa alla più tremenda azione distruttiva della storia moderna, l’attacco aereo su Dresda... e non saprà mai più riprendersi dallo shock, tremendo anche per noi spettatori.
L’unica sua consolazione rimarranno l’alcool e le visioni, ormai solo tra i ghiacci del grande nord, solo nonostante la intricata mappa del suo cuore.
 

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